1822 21 Ott -10 Nov UNA FORTE ERUZIONE COINVOLGE ANCHE CASORIA

Di GIUSEPPE STORTI

Tra i record che vantava il regno delle due Sicilie, senza dubbio vi è quello dello studio dei movimenti del Vesuvio: il vulcano che simboleggia la città di Napoli, che all’epoca era la capitale del regno. Per questo i Borbone incentivarono l’osservazione costante dei fenomeni vulcanici. Tant’è che fu costruito un osservatorio a due chilometri di distanza dal cratere del Vesuvio, in un periodo storico di entusiasmo per la scienza in generale e per gli studi sul magnetismo terrestre in particolare. Ecco , in breve la storia del Real Osservatorio del Vesuvio. Dopo cinque secoli di quiete, la devastante eruzione del 1631 portò il Vesuvio ad uno stato quasi continuo di attività che indusse già alla fine del XVII secolo alla richiesta di un monitoraggio continuo dei fenomeni per prevederne il comportamento, istanza che venne addirittura promossa dal re Carlo di Borbone. Nel 1767 Giovanni Maria della Torre eseguì attenti studi di declinazioni magnetica e nella prima metà dell’Ottocento il Vesuvio era il sito vulcanico più analizzato al mondo, capace di attirare scienziati da tutto il mondo, tra i quali Charles Babbage, interessato a verificare le sue teorie sulla conduzione del calore. Le accademie scientifiche agli inizi dell’Ottocento chiesero ai vari governi la costruzione di un centro dove poter risiedere e Ferdinando II di Borbone, coadiuvato dal Ministro Nicola Santangelo, esaudì la richiesta, entrambi erano sostenitori dello sviluppo della scienza e della tecnica (basti la costruzione della prima ferrovia italiana). Al fisico Macedonio Melloni venne assegnato, nel 1839 l’incarico di fondare l’Osservatorio meteorologico. Fu proprio quest’ultimo ad acquistare gli apparecchi magnetici e meteorologici per il sito prescelto, la Collina del Salvatore che rispondeva ai tre requisiti richiesti da Melloni: “libertà di orizzonte, vicinanza delle nubi, lontananza dalle terre circostanti”.Il 16 marzo 1848 l’Osservatorio fu finalmente consegnato a Melloni il quale, però a causa delle sue idee liberali, dopo i moti del ’48 venne dimesso dall’incarico. L’interessamento del geofisico Luigi Palmieri risollevò le sorti dell’Osservatorio che nel 1856 fu completato con la costruzione di una torretta meteorologica. Palmieri realizzò il primo sismografo elettromagnetico della storia con il quale verificò la corrispondenza fra processi vulcanici e sismici. Nel 1862 Palmieri preparò un programma di ricerca costituito da una rete di stazioni di rilevamento di diversi parametri utile per poter in qualche modo anticipare l’attività vulcanica; da quel momento nasce un metodo moderno di indagine. Non mancarono i momenti drammatici per l’Osservatorio e i suoi ospiti, dato che nel 1872 venne circondato da un’ondata di lava e rimase isolato per qualche giorno.
Il successore di Palmieri alla guida del centro fu il geologo Raffaele Matteucci, che occupò le prime pagine dei giornali per un’aspra polemica con Matilde Serao frutto di un equivoco sulle reali intenzioni di Matteucci manifestate durante l’ennesima eruzione. La direzione del centro, peraltro notevolmente in stato di abbandono fu rilevata da Giuseppe Mercalli che tentò di risollevarne lo stato ma la sua tragica morte interruppe il suo lavoro. Durante la guerra gli alleati requisirono il centro; dal 1983, al culmine del bradisismo flegreo, la sede operativa fu spostata in un edificio pubblico a Napoli, sulla collina di Posillipo. Oggi, la sede operativa di ricerca e sorveglianza è a Napoli, in Via Diocleziano 328, mentre la sede storica sul Vesuvio ospita un Museo vulcanologico nel quale si possono ammirare, tra l’altro, gli antichi strumenti meteorologici e geofisici ideati dagli illustri scienziati che vi hanno lavorato per oltre 150 anni.. L’eruzione del 1822 è stata definita di tipo Pliniano, ovvero simile per intensità e forza a quella che nel 79 d.C distrusse la città di Pompei. Fortissime esplosioni, accompagnarono l’eruzione che secondo gli esperti fu la più violenta dell’intero secolo. Ecco la descrizione storica di quell’eruzione che coinvolse nel 1822 anche la città di Casoria, danneggiandone gravemente l’abitato ed i campi. Un altro studioso dei fenomeni vulcanici: L’Abate Teodoro Monticelli così descrive la terrificante eruzione:” in Napoli l’aria era talmente ingombra di ceneri che per l’intero giorno fu tenebrosa. Ma l’oscurità fu tale anche a Casoria, ed in tutti i villaggi situati a nord del monte, che si ebbe bisogno di accendere i lumi. Le deficienza del giorno, la copiosa sabbia,i boati le scosse e le detonazioni che arrivavano dal monte a tale stato di spavento menarono quelle affilitte e stanche popolazioni, che ammucchiati alla rinfusa uomini e donne, vecchi e fanciulli vedevansi, ed altro non si sentiva se non urla , pianti schiamazzi e grida confuse, le donne a piedi nudi e scarmigliati da santi protettori, di cui portavano in processione le immagini, lacrimose invocavano protezione”. Di seguito invece ciò che è annotato nel catalogo storico delle eruzioni dal 1631 al 1944 nei giorni dal 21 ottobre al 10 novembre 1822. Eruzione mista – Lave verso Ottaviano, Boscotrecase ed Ercolano. Caduta di piroclastiti verso Boscotrecase e Torre Annunziata. Ceneri rossastre a Ottaviano, Pomigliano, Casoria, Napoli, Barra e Resina. Colate di fango sui versanti settentrionali e orientali del Somma e del Vesuvio. L’eruzione cominciò con emissioni di fumo e lave. Poi si ebbero fontane di lava, di cui una alta circa 2000 metri, visibile da Napoli, seguita dalla formazione di una nube eruttiva da cui ricaddero frammenti piroclastici verso sudest. Dopo una breve pausa, nel pomeriggio del 22 ottobre una colonna eruttiva si innalzò fino a circa 4000 metri, e da essa ricaddero ceneri grossolane. Si ebbe quindi il collasso della parte orientale del cratere, accompagnato dalla fuoriuscita di una notevole quantità di lava che si diresse verso Boscotrecase. Nella serata del 22 vi fu una forte attività sismica e numerose fontane di lava. Nella notte si formò una nuova nube eruttiva dalla quale particelle piroclastiche furono scagliate verso sudest. Nel pomeriggio del giorno 23 si formò una nuova colonna eruttiva, meno alta della precedente, da cui ricaddero prima ceneri grossolane e, dalla notte, finissime ceneri rossastre. La mattina del 25 da una nuova nube eruttiva ricaddero ceneri rossastre verso nord; nello stesso giorno cominciarono le piogge. Per diversi giorni si ebbero piogge miste a ceneri, prima rossastre, poi bianche, che provocarono la formazione di colate di fango alle falde del vulcano. Lave per 66 milioni di metri cubi; piroclastiti per 48 milioni di metri cubi. Distruzione di campi coltivati, boschi, vigneti ed abitazioni. L’inizio dell’eruzione fu accompagnato da terremoti. Fu l’eruzione più violenta del secolo XIX. In seguito all’eruzione il cratere si abbassò di circa 93 metri sul lato sudoccidentale. Gli spessori dei depositi piroclastici da caduta alla distanza di 5 miglia dal cratere erano compresi tra circa mezzo centimetro e 25 centimetri (verso sud). La mattina del 24 ottobre, durante l’emissione di ceneri rossastre, che si depositarono fino ad oltre 100 miglia dal vulcano, Napoli e tutti i paesi del versante settentrionale furono avvolti dall’oscurità. Nel corso dell’eruzione la gente ripulì i tetti dalla cenere accumulata per impedirne il crollo. Il tetto della chiesa di S. Anna a Boscotrecase crollò per il peso delle ceneri.

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